Ancorata
Oggi
come ieri
e ancor ieri l'altro
m'assale viva la brama
d'indagare,
frugare,
scavare,
comprendere
i tuoi ingranaggi cerebrali.
Rompere alfin quel muro
ove s'arresta il suono.
Lo sguardo,
sul tuo bel viso,
fermo se ne sta.
Attende un battito
di ciglia...
Un pulsar
di vena...
Che, dalle carnose labbra,
un fremito esca.
Tu, dritto e fiero,
nel tuo silenzio arroccato
infliggi al mio cuore
l'ennesimo
scacco matto.

Come la rondine che va
in cerca di cieli limpidi,
di mari caldi, di prati verdi,
poi, al cambio di stagione, torna,
così è l'amicizia vera:
Oltre ogni legame
Senza alcuna barriera.
S'allontana l'amico,
ma non è un addio,
bensì un arrivederci
alla prossima fermata
Si sale
si scende
ci si perde
ci si ritrova
Tu,
sei solo un clown:
chiuso il tendone
ri-pulisci il menzognero viso...


In un tempo supplementare
sfoglio pagine di gioventù non mia
Illusioni di vita...
Parabola sospesa in stallo
mi nutro d'amor rubato al giorno
Respirando in apnea...
Intingo le dita
in pozzi sterili per placare Sete
assaporo l'acque salmastre...
A piedi scalzi ri-percorro strade
che mi conducono in nessun luogo
Altrove conduco i miei sogni.
Dissemino parole al vento
masticando fiele
e partorisco Dolore.

Percuote l'uscio il Tempo.
Spingendo con forza i battenti
m'inonda e sommerge l'anima
di isteriche risa, di lamenti.
Attori improvvisati,
consumati interpreti,
mi inchiodano, ammutolita,
al centro del proscenio.
Tra gli applausi di un pubblico
che si professa competente
fisso lo sguardo, smarrita,
fermandolo su volti indifferenti.
"Chiudete il sipario:
Io non so recitare!".
E' incognito e misterioso
il silenzio che m'avvolge stanotte
quando, qual giovane amante,
il confortevole letto mi accoglie.
ed affiorano voci lontane
entro conchiglie d'acquasantiera
Fagogitando le emozioni sopite
nel flusso d'ingannevoli sogni
si arrestano le ore, stupite,
Tintinnano afone gocce
su tetti di vetro e di latta
Si scuote l'assonnata ragione,
stordita dalle ciarlatane parole
che sciolgono le bende pietose.
Risuona su un tamburo battente
sempre l'identica nota
Prorompe con rabbia il dolore
Dolore che sa di latte e d'antico
cristallizzato come un embrione
refrattario a qualunque anestetico
Imperterrito settembre avanza
Non può il mio mare
essere una bara
Nè le sue acque
colorarsi rosso-sangue
Nè il suon dell'onda
può essere attutito
da grida di dolore,
dal pianto del bambino
dall'urlo del fuggiasco.
Nel Mare Nostrum
solcato da lussuose navi
si stagliano nitide
le vele all'orizzonte
saltan i delfini sull'onde .
Vi trovano dimora le sirene
tra i coralli e le stelle marine.
In questo nostro mare no,
l'uomo non può edificare
alcun cimitero umano.
Labbra arse di sale,
salsedine appiccicata
addosso.Pelle ambrata.
Vestiti tinti di nero.
Nero indelebile. Nero,
uguale al grasso delle rotaie
dei treni di quella stazione
che non conosce la morte.
La robusta ancora
e la piccola valigia
dentro ignota angoscia
e sconfinata paura.
Andare e venire
in cerca perenne
di ferma stabilità.
Marinaio issa l'ancora.
Ci sono silenzi come macigni.
Comprimono il cuore togliendogli
forza per palpitare.
Ci sono silenzi che, come spade,
laceran la pelle riducendola
un puzzle a brandelli.
Ci sono silenzi che, come dardi
infuocati, ti marchiano l’anima.
Ti ghiacciano la mente.
Loro m’ annientano
Chi sono io che mi aggiro
Tra le rovine di queste colonne
Qui nella valle dei templi
In cui l’uomo ha costruito
il suo tabernacolo vivente?
Chi sono io che esule vago
In questi campi sterili
Abbandonati all’incuria
Del tempo, tra le macerie
Di sogni, speranze, illusioni?
Non sono nessuno, né valore
alcuno ho, per cui conduco
I miei passi lievi, inosservata.
Scruto, pondero, rifletto,
s’intristisce il cuore: Desolazione!
Solo brullo e arido paesaggio
ciò che mi circonda in questa
solitudine che mi sono scelta
mentre, novella Cassandra,
profetizzo per me stessa una fine
ignota e sconosciuta.
Nessuno di me dirà un giorno:
qui visse!