Lascia che ti racconti, figlio,
della pena che mi lacera le carni.
Lascia che ti parli di ciò che provo
quando mi perdo nel pozzo fondo
degli occhi tuoi tristi e neri.
Delle sofferenti doglie
che mi comprimono le viscere
quando la mano tendi ad afferrar
quel tozzo di pane, duro e nero,
sotto lo sguardo indifferente
di chi dedito è a pranzi luculliani.
Guardo le mie mani vuote
sentendomi impotente.
Solo una lacrima a confondersi
con le tue, ma non servirà a saziare
la tua fame, né alla tua sopravvivenza.
Pace a te! In quell' arida terra
riposa un corpo nato condannato,
ed anche per colpa mia,
prematuramente sotterrato.
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