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Monday, March 15, 2010

Nel paese degli specchi


Chissà perché è solo la sera, in quei minuti che precedono l'abbraccio morfeale, che ci si ritrova a far i conti con altri pensieri, altre realtà. Pensieri che nel 90% dei casi sono sempre scomodi, ingombranti, pesanti.
E così Elisa prende coscienza che quel mondo se l'era immaginato. Frutto solo del suo idealismo stantio. Idealismo finito in qualche discarica abusiva e per tale motivo  mai divenuto realtà.
Eppure non si rassegna. Accettare questa verità è come rinnegare la sua persona. Non è tipo da subire passivamente abusi e sorprusi. Ed è convintissima che lei vive proprio in quella maniera e che gli uomini siano come lei pensa. E' talmente fiduciosa nella sincerità di chi le sta attorno che se le dicessero che gli asini volano, ebbene, sì, lei ci crederebbe.
Si gira e si rigira nel letto mentre la mente le proietta su un maxi schermo immagini di violenza, di devastazione, di morte, di sangue, di fango...
Sangue... Fango.
Cade giù come pioggia:  sui tetti,  sui muri, lava le strade. Ristagna negli acquitrini o si riversa nei fiumi e ricolora  il mare...
Sangue... Fango:  biologico...  verbale.
Non sa cosa le fa più raccapriccio. Se quelle bocche che sputano fango o le ferite dei morti che non si cicatrizzano.
E' ancora presto per prendere sonno. Una sottile e indecifrabile smania la pervade. Da qualche parte una voce le bisbiglia che deve fare qualcosa. Che c'è molto lavoro da fare e che solo gli inetti , gli indolenti, dicono che le cose sono così e devono continuare ad andare così. Le bisbiglia la voce che quelle immagini non sono proiezioni mentali ma la sola e vera realtà nella quale lei si trova a vivere ogni giorno.
Come sunnambola brancola nel buio della camera da letto poi si convince che non è quella l'ora adatta. Staranno tutti dormendo. Inutile chiamare, inutile cercare, è l'ora del riposo. Il break dalla giornata lavorativa li avrà fatti sprofondare tutti con la testa sul cuscino.
Ma lei deve sapere. Deve avere la certezza di quale sia la realtà.
Sfila la camicia da notte.
Jeans, pullover più largo di due misure, scarpe da trekking ai piedi, giubbotto di piume d'oca e sciarpa ed eccola in strada.
Le luci dei lampioni proiettano la loro ombra che si allunga sul marciapiede. Una macchina arriva, rallenta alla sua altezza, prosegue fermandosi al semaforo. Non ha mai capito l'utilità di un semaforo funzionante la notte. Magari capita che di giorno sia spento. Torna indietro, prende dal fondo della borsa le chiavi della macchina. (Ci avete mai fatto caso, e lo chiedo alle donne questo, che quando andate in giro con una borsa grande riuscite a trovare le cose solo dopo averla svuotata completamente?). Reputa buona l'idea di muoversi con l'autovettura piuttosto che a piedi. Non sa dove deve andare ma sa che deve. Si lascia guidare dall'istinto. In lontananza sente il suono delle sirene dell'autoambulanza. C'è sempre qualcuno che sta male la notte e si domanda se è un giovane o un vecchio. Decide di dirigersi verso il vicino ospedale...
... to be continued

Friday, March 12, 2010

Nel paese degli specchi

Chi di voi conosce quella sensazione, fuori dai sensi, di svegliarsi una mattina e ritrovarsi a guardare il proprio corpo in due punti diversi e simmetrici contemporaneamente?
E' quello che è successo alla protagonista della storia che mi accingo a raccontare. Ma, procediamo con ordine, giusto per rendere più facile spiegare tutto quello che avvenne dopo.
Non era grande Elisa. Nemmeno piccola. Nel mondo in cui viveva il tempo era cronometrato al secondo e non c'erano problemi che qualcuno si sbagliasse nell'annotarne l'avanzare. L'unica cosa certa era la discrepanza tra ciò che vedeva nello specchio e quello che sentiva dentro. Cosa del tutto irrilevante del resto, che allo Stato non gli interessava per niente e continuava imperterrito a segnarne l'ascesa o, forse è più giusto dire, la discesa, e così la sua vita era regolata solo da due norme: Dovere e Potere. Ambedue dettate dallo Stato che vegliava, padre vigile e normativo, sulla sua persona, e lei, da brava cittadina, non si sognava minimamente di trasgredirle. Così viveva,arrabbattandosi alla meno peggio, per racimolare il necessario alla sua sopravvivenza. In uno Stato di quel genere era l'unica cosa che si poteva fare. Tutto era perfettamente pulito ed ordinato. C'era  una cura maniacale per l'ordine e la pulizia e lei si ripeteva ogni giorno che si, in fondo, non c'era un posto migliore di quello dove poter abitare. I pomodori maturavano solo in estate mentre in inverno si viveva con le scorte, perfettamente sterilizzate ed a lunga conservazione (Questo della lunga conservazione era, ad esempio, un'ottima cosa. In caso di disastri o di guerre, fomentate dai paesi vicini, la popolazione aveva sempre di che nutrirsi e comunque voleva dire vivere in sintonia con la natura nel pieno rispetto del suo ritmo stagionale). I bambini avevano spazi verdi in cui giocare e non c'era pericolo che venissero molestati da sconosciuti né tanto meno da amici e parenti. Le scuole funzionavano come un meccanismo ad orologeria e garantivano a tutti la medesima formazione educativo-culturale. Le donne venivano trattate con rispetto, tutti si attenevano al dettato legislativo il quale affermava che:
"Le donne non si colpiscono nemmeno con un fiore".
Sapevano che la donna racchiudeva nel grembo il segreto della Grande Madre ed era  figlia della Luna, per questo motivo era tenuta in grande considerazione.
A questo punto sono sicura che il mio lettore starà commentando che questo mondo era davvero una pacchia. Lo era... o forse no... Questo è il quid... Questo è il pensiero che aveva avuto la protagonista fino alla sera prima di quel fatidico giorno di cui dicevo prima.
... to be continued

Tuesday, July 28, 2009

Mini chat

- ma dove sei finito?
- eccomi sono qua
- ma che fine hai fatto?
- ? Io?
- certo tu
- Veramente mi sono allontanato visto che tu hai detto: vado a cenare.
- Esatto, ho detto vado, mica ho aggiunto: non torno!
- Vabbeh... dai. Quanto la fai lunga...
- Che stai facendo?
- Nulla di che. Ho incontrato un tipo interessante.
- Interessante quanto?
- Molto...
- di dov'è?
- non ci crederai, abita vicino a me...
- Vicino? quanto?
- Dipende...
- che vuol dire... dipende?
- fai la gelosa?
- dici? DIMMI DI DOV'E'
- Se spegni il pc e passi di qua te lo dico in un orecchio...
***
Click
***
Smack!!!
***
Scemo!

Thursday, October 18, 2007

Mendicante per amore



 

La mano timidamente protesa verso i passanti. Se ne stava così, acquattata, le ginocchia piegate, la lunga gonna di tela indiana a ricoprir le esili gambe fino a terra. Là dove sbucavano timidi due piccoli piedi rinchiusi dentro un paio di scarpe che avevano conosciuto tempi migliori. Logori e consunti al punto tale che era difficile individuarne l'originario colore.


In verità l'intero abbigliamento strideva su quel marciapiede che aveva come sfondo un elegante negozio di haute couture.


La giornata calda e afosa, inusuale per quella città conosciuta non solo per i suoi musei e le sue maestose cattedrali, ma anche per i suoi boulevard pieni di café, non invitava certo i passanti a curarsi di quella piccola mano protesa a chieder l'elemosina. Se la passava meglio quando era in India...


Lo sguardospento, annacquato, dalle cui chiare iridi non trapelava ciò che le rodeva dentro.


Quel mezzo sorriso, che si era abituata a tenere stampato sul volto, per un attimo sembrò pietrificarsi su quella bocca, su quelle labbra carnose, osservando una figura che avanzava lentamente. La luce del sole alle di lui spalle non le consentiva di definirne i lineamenti ma, nonostante ciò, intravedeva in quella figura un che di familiare. Il cuore le si fermò in gola. Impallidì. Un leggero tremore iniziò a scuotere il suo esile corpo.


Restò immobile, incapace di un pur minimo gesto mentre lo osservava avanzare nel suo inconfondibile stile. Elegantemente sfrontato. Bello. Ancor più bello di come lo ricordava nei suoi sogni, a sera, chiusa nella sua piccola camera ammobiliata alla periferia est di quella città... con una minuscola finestra che dava sulla Senna... o quando si trovava in qualche catapecchia in uno dei vicoli di Bombay...


Indossava una camicia e dei pantaloni di lino bianchi, ai piedi un paio di college e sosteneva per le spalle una giovane donna. Alta, bella, bionda...sofisticata. La falcata inconfondibile da fotomodella o comunque di chi è avvezza a calcar le scene davanti agli sguardi ammirati dei maschi.


Una lacrima lentamente le rigò la guancia...

Quanto tempo era passato!

Si alzò precipitosamente, raccolse la sua borsa e stringendosela al seno rapida si diresse in direzione opposta a quella da cui sopraggiungevano i due innamorati.


Solo quando fu certa di aver lasciato tra lei e loro la giusta distanza liberò i singulti che le strozzavano la gola.


 

****

Pioveva a dirotto e grossi goccioloni picchiettavano sui vetri e sul tetto di quella piccola mansarda situata al VI piano di un edificio ottocentesco in rue de Boulogne. All'interno due giovani corpi si abbandonavano stremati dopo gli ultimi spasmi di un ardente orgasmo. Lui allungò la mano e, scostando con dolce tenerezza i lunghi capelli biondi dal viso botticelliano di lei, si allungò depositando un dolcissimo bacio sulle di lei labbra. A quel gesto lei rispose con altrettanta dolcezza. Venere stremata dalla passione che languidamente si abbandona a quel corpo, a quelle labbra, a quegli occhi di fiamma.


E si fermò il tempo, dileguandosi nei loro sguardi.

Si svegliarono molto tempo dopo. Aveva smesso di piovere, lui si alzò e così, nudo come si trovava, si accostò al cavalletto che troneggiava al centro di quel monolocale. Lei, con mosse sensualmente feline, allungò il corpo slanciato e lo osservò tra le palpebre socchiuse.


- Hugo... - la voce calda e languida ruppe il silenzio .

Lui si girò a guardarla e portando l'indice alle labbra le fece cenno di tacere. Quindi, esprimendosi sempre con i gesti allungò il palmo della mano destra, tra le cui dita svettava il pennello imbevuto di colore, verso di lei che nel vedere il gesto si immobilizzò...


Hugo riportò la sua attenzione sulla tela e intingendo il pennello nel colore sulla tavolozza riprese a dipingere con gesti che divenivano, via via, sempre più rapidi e sciolti. Lei, immobile sul letto - ammesso che si potesse definire letto quel giaciglio costituito da uno striminzito futon poggiato sul parquet - lo osservava imbevendosi di quel corpo muscoloso ed asciutto. Soffermò lo sguardo sui glutei alti e sodi per poi portarlo sulla cosa che di lui l'affascinava di più: le sue mani.


Mani dalle dita lunghe e nervose che ora si muovevano sulla tela or con forza, or con dolcezza. La stessa forza e la stessa dolcezza di quando scorrevano sul suo corpo accendendo in lei i brividi della passione più ardente. Lui, come se avesse captato i di lei pensieri, distolse lo sguardo dalla tela e le sorrise.


- Sono sicuro che questo sarà il mio capolavoro. Quello che mi farà conoscere al pubblico ed ai galleristi - esclamò con impeto, proseguendo:


- Quando diventeremo ricchi la prima cosa che ti regalerò sarà un viaggio sulla Luna.


Gli sorrise comprendendo il senso di quel paradosso.

- Io sono già oltre la Luna - le rispose mentre si avvicinava a lui.

Lo strinse da dietro e lo baciò sulla nuca. Lui posò il pennello e prendendole le mani le accostò alle sue labbra...


 

****

Camminava spedita incurante dei passanti. Le lacrime le offuscavano la vista. Evitò per un pelo di scontrarsi, inciampando su un piccolo yorkshire, con un uomo che fu pronto ad afferrarla per le braccia impedendole una rovinosa caduta.


Confusa, rossa in volto, borbottò delle rapide scuse...

 

****

Era tornato a casa salendo gli scalini a due a due. Trafelato, le mani dietro la schiena, il suo sorriso più bello ad illuminargli il volto e lo sguardo.


Lei stava provando a cucinare un pranzo decente su quella minuscola cucina da campo con soli due fornelli. Lui le cinse la vita mentre le poneva davanti un piccolo fiore bianco.


L'odore della camelia penetrò nelle sue narici, chiuse gli occhi e sorrise assaporando quell 'attimo. Lui la baciò sul collo, poco sotto il lobo dell'orecchio quindi le sussurrò:


- Ci siamo! Ho trovato una galleria. Il proprietario ha detto di portargli altre mie opere. Le esporrà in mostra permanente e… senza che io sborsi un centesimo di franco. Se li venderà, cosa di cui sembra certo, dividerà il ricavato con me... fifth-fifth. Ha anche stabilito un prezzo... che io trovo eccessivo  per i miei quadri... ma mi ha detto di fidarmi che sa il fatto suo... Vedrai che molto presto riuscirò a portarti sulla Luna...


Il giorno sembrò essere giunto in fretta. Al vernissage che il gallerista volle fare per mostrare le sue opere in anteprima.


L'aria da pittore bohemiene, il fisico asciutto, il sorriso accattivante... non gli ci volle molto per essere circondato dalle belle donne che sembrava facessero a gara per contendersi le sue attenzioni. Non resistette molto lì, in quella galleria illuminata a giorno, lei con i suoi jeans consunti e la t-shirt sopra all'ombelico si sentiva come una pattumiera messa per sbaglio nel salone della festa. Lentamente iniziò a retrocedere, lo sguardo fisso su di lui a imprimersi nella mente quegli ultimi istanti, arrivò all'uscio di quella elegante galleria. Appena si ritrovò sul marciapiede si guardò attorno disorientata, come un cane che ha smarrito il padrone. Quindi, senza riuscire a prendere nessuna decisione si allontanò rapidamente.


Il buio risucchiò la sua figura. Inebetita. Confusa. Solo un pensiero in testa. Doveva andare lontano... lontano da lui che sentiva di aver già perso.


Non tornò alla loro mansarda ma si rifugiò a casa di un'amica che la accolse senza chiederle nulla. Ci sarebbe stato tempo per parlare... era stremata.


Il giorno dopo senza dire nulla a nessuno alla "gare du Lion" salì sul primo treno... destinazione "India".


 

****

Era tornata da poco, non aveva cercato nessuno dei vecchi amici. Viveva elemosinando per le strade di Parigi.


Parigi, la città degli innamorati per antonomasia. Parigi la grande puttana che rapisce i sogni dei giovani svendendoli per quattro luridiscenti spiccioli...


Sapeva che sarebbe successo, che prima o poi l'avrebbe rivisto ma certo non immaginava che quella vista sarebbe stata come un pugno nello stomaco.


E lei tornava a fuggire ancora una volta lontano da lui.

Lui così bello e famoso. Lui coccolato dalla stampa e dalle donne. Lui che immancabilmente appariva sulla cover di qualche rivista di gossip. Lui che sembrava non aver più tempo da dedicare alla sua vera passione. Ma così non era. Nella galleria, di cui era divenuto ben presto socio, un suo quadro, fresco di colore, troneggiava sempre su un cavalletto davanti alla vetrina. Lei vi andava sovente. La sera. Quando i negozi erano chiusi e si fermava lì per ore a contemplarlo. Le sue opere avevano ancora il sapore di quando vivevano nella mansarda di rue de Boulogne anche se i colori erano molto più forti... quasi rabbiosi.


Ma tutti con un comun denominatore. Una piccola luna su cui si intravedeva, diafano, un volto botticelliano...

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Wednesday, May 16, 2007

Ultimo monologo di un diverso

Guardarsi allo specchio e provare quella sensazione strana di trovarti davanti ad uno sconosciuto.


Che schifo quel corpo asciutto e piatto. E quel coso lì che penzola deturpando ancor più l'aspetto. Io non sono quello! No... lo vedo con gli occhi miei interiori.


Gli attributi non sono al posto giusto. Qui c'è stato un errore nella lavorazione. Qualcuno distratto nella catena di montaggio ha messo fuori quel che andava  custodito gelosamente all'interno. Dovevano essere ovaie e invece mi ritrovo con dei testicoli e quello che  doveva essere il mio utero è diventato un inutile appendice. Dove sono le mie labbra? Dove le mammelle che pur sento di avere?


Nessuno dei suoi cari si è accorto di nulla anche se la postura... il modo di camminare... quello di gesticolare non sono tipici di una identità maschile. Le lezioni di danza classica, iniziate da bambino, hanno giustificato agli occhi dei suoi cari il suo portamento. E' stata la mamma a insistere per fargli fare danza e lui da bravo e tenero figlio aveva ubbidito senza porre obiezione alcuna.


La mamma... profumo di fiori freschi. Usa sempre profumi dolci che sanno di buono.


Quante volte scherzando con lei se li spruzzava addosso e poi a scuola i compagni lo sfottevano "femminuccia" lo chiamavano e lui per difendersi diceva: "E' il profumo della mamma, lei mi abbraccia e mi rimane addosso". Non capiva ancora cosa stesse succedendo ma vedeva i sorrisetti di scherno e le gomitate che i compagni non sempre si davano di nascosto.


Quando si è piccoli ci si sofferma poco su questi particolari. Ci sono tante altre cose a cui pensare. Ad esempio cercare di inventarsi una scusa per giocare con le bambole della sorellina al posto di quelle orrende pistole che gli propinavano ad ogni festa o ricorrenza. Ma bisognava farlo di nascosto di papà. Quando lui non era in casa. Lui, uomo tutto d'un pezzo, orgoglioso della sua virilità. Quante volte l'ha sentito vantarsi delle sue giovanili imprese amorose! Mentre la mamma nasconde il suo imbarazzo dietro impacciati sorrisi...


Chissà che pensa di tutta sta faccenda. Povera mamma, se solo sapesse! Come vorrei poggiare la mia testa sopra il suo petto e raccontare a lei il mio tormento! Sono sicuro che lei comprenderebbe se... se non avesse paura di mio padre. Lui così fiero di avere un figlio maschio che gli garantirà la discendenza.Come prenderebbe la notizia di aver un figlio maschio a... metà?


NO... non lo saprà. O, almeno, non sarò io a dire a lui questa verità.


Ancor ieri a scuola li ho visti i sorrisetti dei compagni e delle compagne. Ho udito i loro commenti, le loro salaci battute al mio indirizzo lanciate. Non so tra le due parti chi mi ferisce maggiormente. E devo andare avanti.


Lo so che dovrei andare avanti ma non ce la faccio a sostenere questa situazione. Troppo il peso di questa mia esistenza. Di questo contenente che non riflette il contenuto.


Dicono che non sono normale e che dovrei vergognarmi di essere così.


Io sono gay ma non lo posso dire. Non alla società "civile". A quella società che va ogni domenica a messa e che si confessa salvo poi a compiere atti ignominiosi fuori. C'è chi va a messa e fuori mente e ruba. Chi si batte il petto in un ipocrita mea culpa e poi di nascosto abusa dei bambini. Chi addita col dito il diverso salvo poi  usarlo per i suoi immondi desideri clandestini. Eppure si professano credenti e praticanti! Ma praticanti di cosa? Non c'è coerenza nel loro comportamento ma nessuno li addita a dito. Mentre io che amo il sole e le stelle. Che mi incanto alla vista dei fiori e del mare. Che mi commuovo davanti a un tramonto e piango ascoltando una canzone... Io no... io debbo reprimere la mia vera natura, nascondermi come un ladro o un malfattore perché io non ho nemmeno il diritto d' esistere ...


La bara bianca, coperta di fiori, troneggia al centro del cimitero [non si celebra in chiesa il funerale di un suicida] colmo di persone. Ci stanno tutti: il padre che d'improvviso ha perso la sua spavalderia, i compagni che si guardano increduli, sul volto una domanda che non avrà risposta. I curiosi, la gente come lui e quella bigotta.


Il prete pronuncia la sua omelia cercando di spiegare ai presenti l'importanza della vita e la vigliaccheria di chi decide di morire.


Sono tutti lì ad ascoltare ma c'è tra loro qualcuno che per una volta almeno avrà il coraggio di dire che lui è morto per colpa di questa cosiddetta società "civile"?


Un ultimo saluto, una lieve e invisibile carezza sulla guancia della madre che silente e sola, chiusa nel suo dolore, fissa la bara bianca.


"Arrivederci, mamma!".


 


P.S.// Per  Matteo morto suicida a 16 anni perché non sopportava più di essere chiamato "gay" vola questo mio piccolo aquilone...(Forse Matteo non era gay... ma non è la sua storia che ho voluto raccontare, quanto la necessità, mia personale di capire cosa si provi nello scoprire di essere "diverso"...)

Friday, April 13, 2007

Dream?


La spiaggia in settembre ha perso parte dei colori smaglianti dell'estate. C'è una predominanza di grigi sfumati nei colori del mare e del cielo. La sabbia, nelle prime ore mattutine, è umida...colpa della brezza marina...

Un ' immagine si delinea all'orizzonte. Il corpo avvolto in un rosso pareo di seta i cui lembi, così come i lunghi capelli, vengono smossi dalla brezza che soffia dal mare e come una leggera carezza le sfiora la pelle facendola rabbrividire leggermente .

Cammina rasente la battigia mentre piccoli schizzi d'acqua , infrangendosi sulla riva, ne carezzano il corpo...bagnano il leggero ed impalpabile pareo che or aderisce alle di lei gambe mettendo maggiormente in risalto le morbide linee.

In alto nel cielo qualche gabbiano, anch'egli mattiniero, volteggia sull'acqua in cerca di cibo per la prima colazione.

Un lento gesto della mano a trattener i capelli sulla nuca...lo sguardo perso in lontananza...dritto davanti a sé.

Null'altro intorno...almeno così sembra fino a che...si ferma...

Osserva incuriosita, fessurizza lo sguardo...diviene attenta.

Si raddrizza sulla schiena in difesa.

Non una parola ...né un fremito.

Come ostrica dischiude le labbra...trattiene il respiro...immobile guarda l'ombra avanzare. Vaga...indistinta...ancor distante...

Lei si sforza di trattener i battiti del cuore controllandone il respiro.

Attimi che sembrano eterni prima che i contorni prendano forma.

Gli occhi sbarrati osservano la sagoma farsi più vicina, acquista contorni ben precisi ... nitidi. Una fragranza di spezie orientali , sensuale e vibrante, le arriva alle narici stordendola...

Giunto alla sua altezza, i loro visi vicini, così vicini da sentir l'alitar del respiro affannoso , quello di lui...dolce e pacato il suo, le si pone davanti osservandola fissamente.

Lo sguardo scuro ,profondo, conturbante la fa sentire ancor più nuda mentre con voce suadente , le labbra distese in un ampio ed avvolgente sorriso le sussurra :

.

Driiinnn.....driiinnnn...il suono fastidioso della sveglia...

Tuesday, April 10, 2007

Dream?


La spiaggia in settembre ha perso parte dei colori smaglianti dell'estate. C'è una predominanza di grigi sfumati nei colori del mare e del cielo. La sabbia, nelle prime ore mattutine, è umida...colpa della brezza marina...


Un ' immagine si delinea all'orizzonte. Il corpo avvolto in un rosso pareo di seta i cui lembi, così come  i lunghi capelli, vengono smossi dalla brezza  che soffia dal mare e come una leggera carezza le sfiora la pelle facendola rabbrividire leggermente . 


Cammina rasente la battigia mentre piccoli schizzi d'acqua , infrangendosi sulla riva, ne carezzano il corpo...bagnano il leggero  ed impalpabile pareo che or aderisce alle di lei gambe mettendo maggiormente in risalto le morbide linee.


In alto nel cielo qualche gabbiano, anch'egli mattiniero, volteggia sull'acqua in cerca di cibo per la  prima colazione.


Un lento gesto della mano a trattener i capelli sulla nuca...lo sguardo perso in lontananza...dritto davanti a sé.


Null'altro intorno...almeno così sembra fino a che...si ferma...


Osserva incuriosita, fessurizza lo sguardo...diviene attenta.


Si raddrizza sulla schiena  in difesa.


Non una parola ...né un fremito.


Come ostrica dischiude le labbra...trattiene il respiro...immobile guarda l'ombra avanzare. Vaga...indistinta...ancor distante...


Lei si sforza di trattener i battiti del cuore controllandone il respiro.


Attimi che sembrano eterni prima che i contorni prendano forma.


Gli occhi sbarrati osservano la sagoma  farsi più vicina, acquista contorni ben precisi ... nitidi. Una fragranza di spezie orientali , sensuale e vibrante, le arriva  alle narici stordendola...


Giunto alla sua altezza, i loro visi vicini, così vicini da sentir l'alitar del respiro affannoso , quello di lui...dolce e pacato il suo, le si pone davanti  osservandola fissamente.


Lo sguardo scuro ,profondo, conturbante  la fa sentire  ancor più nuda  mentre con voce suadente , le labbra distese in un ampio ed avvolgente sorriso le sussurra :


 <Sei tu! - quindi soggiunge  con voce roca- Tiavrei riconosciuta tra mille...>.


Driiinnn.....driiinnnn...il suono fastidioso della sveglia...


 

Sunday, March 18, 2007

Il mare. Liliana. Una bimba

Che ci farà mai una bimba tutta sola qui, sulla spiaggia, a quest’ora? – Si chiese perplessa Liliana mentre in quel tardo pomeriggio di un tempo primaverile percorreva, in compagnia del suo cane, la battigia. La tempesta della notte che aveva fatto ingrossare il mare era scomparsa all’improvviso, come all’improvviso era arrivata, lasciando nella risacca detriti sparsi un po’ ovunque. Qualche scarpa che aveva conosciuto tempi migliori, bottiglie di plastica annerite dal catrame scaricato dalle petroliere, vecchi tronchi sradicati chissà dove. C’era di tutto, sembrava di trovarsi a Portobello Road, sorrise all’associazione che inconsciamente le era venuta in mente.

Sarebbe più giusto dire al mercatino delle pulci rionale” bisbigliò piano guardando con profonda tristezza la spiaggia simile a una discarica . La mente procedeva per associazione di idee e davanti agli occhi le tornarono le immagini di quella stessa spiaggia tanti anni fa. Era nata e cresciuta in quel posto e pur vivendo ormai lontana da lì vi ritornava sovente nei fine settimana. Si chiudeva alle spalle la porta dell’appartamento in città e percorreva chilometri di autostrada mentre assaporava già il sapore della salsedine.

Lei e il mare, binomio inscindibile, unione forte e solida.

Più del mio matrimonio” . Continuava a rispondere ai suoi pensieri in quel dialogo muto fatto di ricordi.

Lo amava di un sentimento forte e viscerale.

Si sentiva tutt’uno con esso.

Respirò profondamente mentre le si gonfiava il petto e l’odore salmastro le penetrava nei polmoni. Riportò lo sguardo sulla piccola figura che si era alzata e aveva iniziato a lanciare delle pietre sulla superficie acquea. Sorrise a quella vista. Pur nell’epoca dell’elettronica, del computerizzato, delle PS e dei videogame i bambini continuavano a divertirsi con quel gioco. Si avvicinò con calma mentre si chinava e con l’occhio esperto individuava una pietra piatta e ovale…la fece saltellare sulla mano per saggiarne la pesantezza quindi flettendo di quarantacinque gradi il busto verso destra portò il braccio all’indietro per spingerlo poi con forza in avanti. La pietra scalfì la superficie “1…2…3”… iniziò a contare i rimbalzi che il sasso faceva a fior d’acqua. Il cane sorpreso da quel gesto tentò di lanciarsi in acqua ad afferrare il sasso ma l’arrivo di una leggere onda lo fece retrocedere dal suo intento. Anche la bimba scorgendola si fermò e, nel seguire il movimento della pietra, con voce dolce e bassa disse: < Siete proprio brava! Io riesco appena a fare solamente cinque "gradini"… non di più>. Stettero lì, donna e bambina, a seguire i movimenti del sasso che al tredicesimo rimbalzo andò  a cercare il fondale.

- Beh… anch’io alla tua età riuscivo a farne solo 4… o 5…- le rispose quindi sorridendole, mentre il cane, che fattosi coraggio aveva iniziato ad andare  avanti e indietro rincorrendo le onde, si era avvicinato e si asciugava il muso sulla gamba destra della bimba la quale, istintivamente,  sollevò la mano carezzandolo sulla testa, dimostrando così di non avere nessuna paura per un animale estraneo. “Questa è la bellezza dell’infanzia, essere aperti a tutto ed a tutti”… Sorrise al suo pensiero mentre osservava con curiosità la piccola.

Quanti anni aveva, sei…sette? Era minuta e indossava dei jeans larghi e lunghi che  coprivano un paio di scarpe da basket bianche e rosa, un leggero k-wei azzurro aperto sul davanti lasciava intravedere una felpa rosa come le scarpe con una scritta, in inglese probabilmente. Tentò di capire cosa diceva ma vi rinunciò contentandosi solo di due lettere… Y…K…troppo poco per capire cosa c’era scritto. Questa era un’altra delle sue manie.

Non riusciva a rimanere insensibile davanti a nessuna scritta. Fosse questa l’insegna del bar o della pubblicità sui cartelloni. Adorava le parole, o meglio la parola. Quel segno grafico che unito ad altri dava un senso alle cose ed ai pensieri. Tornò a guardare il mare e lo sguardo si perse in lontananza su una barca a vela che dolcemente segnava il confine tra l’ aria e l’acqua…

La piccola aveva iniziato a giocare con il cane che, contento per aver trovato qualcuno che gli prestava attenzione, correva avanti e indietro quasi ad invitar la bimba a cimentarsi in una gara di corsa.

In quel linguaggio muto fatto solo di istinti naturali si era stabilita tra i due una sorta di complicità. La piccola rispondendo alle sollecitazioni dell’animale iniziò a correre, i lunghi e soffici capelli ondulati scomposti dalla leggera brezza che spirava dal mare le finivano sugli occhi ma lei sembrava non avvedersene mentre ormai aveva iniziato ad avere il fiatone… Li osservò per un po’ quindi tornò a perdersi dietro i suoi pensieri.

Il cruccio più grande era dovuto a quel senso di vuoto che sentiva dentro e di cui non riusciva a individuarne l’origine… la ragione… “Se solo ci fosse qualcuno vicino a me ad aiutarmi a capire!”

La bambina stanca di quella corsa fuori programma si gettò di botto sulla sabbia vicino a lei. Rideva e implorava il cane:

< Basta..basta… non ce la faccio più>.

Scossa dalle risate Liliana richiamò presso di sé l’animale che ubbidiente si accucciò ai piedi della padrona probabilmente stanco anche lui. La piccola intanto si era messa seduta e tentava di risistemarsi i capelli liberando i grandi occhi color nocciola tra le cui ciglia era rimasta intrappolata qualche ciocca…

<Non sapevo che fosse così bello avere un cane! – disse rivolgendosi a Liliana – Io ne  vorrei uno ma mia madre dice che i cani sono peggio dei bimbi e che lei non avrebbe tempoper prendersi cura anche di un animale. Sa, lavora e poi deve anche occuparsi di me > aggiunse  tutto d’un fiato e con voce fioca come a voler giustificare la madre.

Liliana si avvicinò e sedendosi accanto alla bimba rispose: <Anch’io da piccola desideravo un cane e, non ci crederai, anche a me diedero le stesse spiegazioni… in realtà è proprio così. I cani sono come i bambini. Richiedono le stesse cure e le medesime attenzioni di un figlio>.

Le sorrise carezzandole lievemente i capelli e aiutandola a risistemarsi la ciocca ribelle. La bambina arrossì a quel gesto inaspettato e confidenziale e abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe.

<E voi avete figli?>. Chiese a bruciapelo riportando lo sguardo sulla donna.

Un attimo, solo un nano secondo e la gola le si strinse. Tentò di deglutire ma non riusciva a parlare. “Capacità sorprendente dei bambini di fare le domande più importanti con un candore e una schiettezza disarmante!” Scosse la testa in segno di diniego. Inspirò profondamente e finalmente riuscì a proferire: <Mi sarebbe piaciuto poterne avere uno ma qualcuno ha deciso diversamente per me>. “E forse anche per questo che il dialogo con mio marito si è estinto”… Continuò dentro di sé il pensiero.

<Io sono figlia unica. Sa, mio padre è andato via un po’ di tempo fa, io ero ancora piccola…così>  e nel parlare sollevò la mano a trenta centimetri da terra… < non lo ricordo, ma mamma dice sempre che era un uomo bellissimo e molto buono e che mi voleva molto bene. Io guardo sempre le sue foto ma solo di nascosto di mamma perché altrimenti lei diventa triste >.

E dove è andato?-chiese Liliana.

Le parole della bambina avevano ravvivato la sua attenzione.

Lì! – indicò con l’indice della mano destra l’orizzonte mentre, senza che la donna e la bambina se ne fossero accorte, una figura era comparsa vicino a loro.

Una donna, con gli stessi occhi e gli identici capelli della bimba, figura minuta e sguardo triste, che dopo aver salutato Liliana, con tono severo e fermo si rivolse alla figlia.

 <Jessy quante volte ti ho detto che non devi venire da sola sulla spiaggia? Lo sai che può essere pericoloso! Le chiedo scusa– continuò poi rivolgendosi a Liliana – non è per lei ma con quello che si sente di questi tempi!>

Liliana assentì ma non pronunciò parola. Non reputava giusto intromettersi in quel dialogo tra madre e figlia. La piccola, il volto imporporato da un leggero rossore, con voce flebile, sollevandosi da terra e puntando il suo sguardo sul volto della madre, rispose: <Lo so mamma non punirmi… ma facendo così penso che papà, sapendo che io sto qui ad aspettarlo, si deciderà a tornare a casa… lo sai quanto ci manca!> - Rimarcando la voce su quel “ci”.

Gli occhi della donna si riempirono di lacrime e, afferrando la testa della figlia se la strinse sull’addome. Poi con voce rotta da un emozione che non riusciva a contenere tentò di spiegare a Liliana:

<Mio marito era un appassionato velista è… scomparso tre anni fa, ingoiato dall’Oceano mentre tentava una traversata. Il suo corpo non è stato più ritrovato, per questo motivo, la speranza che possa tornare un giorno o l’altro non ci ha ancora abbandonato>.

Col palmo della mano si asciugò gli occhi quindi rivolgendosi alla figlia con tono dolce:< Su andiamo a casa è quasi ora di cena…buonasera e…le chiedo scusa …>. Sembrava non essere intenzionata a proseguire quel discorso, almeno non in quel momento. Liliana la osservò in silenzio mentre sussurrava un impacciato…<Capisco!... una buona serata a voi…>.

Madre e figlia si allontanarono mestamente mano nella mano. Liliana li seguì mentre rispondeva con un cenno della mano alla bimba che si era girata e ancor la salutava agitando la manina.

Il cane andò dietro a loro per un po’ poi, come ubbidendo a un muto richiamo, tornò accanto alla padrona e si acquattò vicino a lei che aveva riportato lo sguardo su quella immensa distesa di acqua.

“Il mare prende, il mare dà. Restituisce sempre quel che prende e la conferma a questo erano tutti i detriti che c’erano attorno a lei… Perché non aveva ancora restituito quel corpo?” Rabbrividì mentre un pensiero le attraversò la mente…”Gli squali… erano stati loro a dar sepoltura alla salma?”

 

Si alzò.

Scuotendosi i jeans, per liberarli dalla sabbia che si era attaccata, riprese il cammino verso casa. La tristezza che all’improvviso l’aveva assalita le aveva fatto perdere la gioia serena della passeggiata.

Il suo dolore, i suoi problemi, le sembrarono all’improvviso irrisori, davanti a quel dolore immenso che aveva percepito…

Non ci sono parole né ragionamenti che possano lenire il dolore provocato dall’ineluttabilità della morte.

Thursday, February 22, 2007

Regalo di natale




Finalmente ci siamo!

Uscirono così le parole, rimbombando nella stanza vuota. Sollevò la testa fermando le mani sopra la borsa da viaggio azzurra - ultimo acquisto fatto dopo aver per giorni girovagato per i negozi del centro - spaventata lei stessa dal suono prodotto dalla sua voce.

Si guardò attorno trattenendo per un attimo il respiro poi, come inseguendo una visione, volse lo sguardo verso la finestra.

Imbruniva e le flebili luci dei lampioni proiettavano, sull’asfalto bagnato, le immagini dei palazzi con le loro luci…

Sembrava di guardare il mondo capovolto. Chissà qual è la vera immagine reale. Quella che c’è sopra o quella…sotto?

Scosse la testa, non c’era tempo per riflessioni filosofiche , tornò decisa verso il grande armadio a muro. Aprì ancora qualche cassetto frugando in cerca di indumenti pesanti anche se aveva rifatto il suo guardaroba proprio per quella occasione. Tornò a guardare la borsa che giaceva già semipiena ai piedi del letto, per poi decidersi a chiudere anche l’armadio.

Compì gli ultimi gesti come un automa. All’improvviso non le importava più cosa avrebbe portato con sé. Una strana frenesia si impossessò di lei e dopo aver chiuso con energia la valigia volse i suoi passi verso il balcone. C’era da chiudere il rubinetto dell’acqua e l’erogatore del gas. Passando nel lungo corridoio lanciò un fugace sguardo nella camera dei figli. Pullover, camicie, jeans, scarpe, giacevano sparpagliati sulle sedie, sulla scrivania, per terra. Abbandonati in giro come se nella stanza ci fosse stata la visita dei ladri o qualche evento catastrofico che avesse costretto gli abitanti a darsi alla fuga a precipizio. Resistette all’impulso, inconscio, di entrare a sistemare. Scrollò le spalle, in fondo erano abbastanza grandi da prendersi cura delle loro cose. Così come lo erano stati quando avevano deciso di partire per conto proprio per la settimana bianca con gli amici.

Raddrizzò le spalle e con passi decisi si diresse per portare a termine le ultime incombenze. Un ultimo sguardo nello specchio del bagno le proiettò l’immagine di una donna ancora bella ed in piena forma nonostante gli anni, i figli ed i primi capelli bianchi che il suo abile parrucchiere riusciva a coprire con dei bellissimi contrasti giocati sui toni del biondo …

Inarcò il sopracciglio sinistro mentre un leggero sorriso le increspava gli angoli della bocca ancora seducente e carnosa. Poi afferrata la borsa da viaggio prese al volo il cappotto e la sciarpa e senza dar un ultimo sguardo alla casa chiuse decisa la porta alle sue spalle.

Non ebbe problemi ad uscire dal parcheggio, Giovanni il portiere vedendo la macchina uscire dai garage le aprì immediatamente il cancello.

Devo ricordarmi di fare un regalo anche a lui…magari al mio ritorno gli porterò un souvenir. Alzò l’esile mano e sorrise al portiere che dentro la guardiola la guardava con un ‘espressione che sembrava triste. Tentò di leggere il labiale <Faccia buon viaggio!>. Chinò la testa in cenno affermativo e con decisione ingranò la marcia. Slittarono leggermente le ruote sull’asfalto bagnato. Sorrise, un sorriso di bimba che ha appena compiuto una marachella, soddisfatta lei stessa per la sua spavalderia. Prese la via.

L’attendeva un lungo tragitto e, contrariamente a quelle che erano sempre state le sue abitudini non riusciva a spiegarsi come mai avesse deciso di partire al tramonto.

Quante volte aveva discusso con lui che si ostinava a viaggiare di notte motivando la sua decisione col fatto che la notte le strade sono deserte e si cammina più velocemente.

Ma adesso lui non c’era, al telefono le aveva detto “Vai, se hai deciso di andare ma non aspettarti che ti seguirò”.

Aveva chiuso lo sportelletto del cellulare con una rabbia tale che stava per staccarsi. La sfida che aveva sentito nelle sue parole l’aveva imbestialita.

Osava dubitare della sua capacità di agire? Come se fosse una bimbetta che aveva ancora bisogno della balia. Pigiò sull’acceleratore mentre le nocche sbiancavano strette attorno al volante. Avrebbe dimostrato a lui ed ai figli che sapeva benissimo cavarsela da sola… Tale pensiero la proiettò immediatamente verso la meta del suo viaggio.

Quante e quante volte, da bambina prima e da adulta poi, aveva sognato una vacanza come quella che si accingeva a compiere.

Accese la radio e infilò il suo cd preferito. Le note del sassofono si diffusero nel piccolo abitacolo della sua Citroen C1 e la aiutarono a rallentare i pensieri.


 

Arrivò a notte inoltrata nel piccolo paese coperto di neve.


Il viaggio , fortunatamente, si era  rivelato senza imprevisti.

 

Fermò la macchina al centro della piazzetta dove troneggiava un grandissimo abete pieno di luci e di neve…e dopo aver riindossato cappotto, sciarpa  e guanti scese e si diresse verso l’unico albergo del posto che si trovava di fronte alla chiesa. In quel momento l’orologio del campanile batteva due rintocchi. Si sgranchì le gambe prima di suonare e rimase in attesa del portiere che giunse di lì a poco. Compassato ma non tanto da non lasciar intravedere il suo stupore per quel arrivo nel cuore della notte.

 

Buona sera - salutò cortese mentre allungava il collo per vedere se per caso era in compagnia. Lei avanzò decisa verso la reception e chiese una camera per la notte.

Accertatosi che era veramente sola il portiere richiuse l’uscio e si apprestò a compiere le solite formalità dopo averle detto che era fortunata in quanto una stanza c’era ancora, ma solo per quella notte.

- Sa, gli ospiti che hanno prenotato inizieranno ad arrivare soltanto verso l’ora di pranzo . - Un debole sorriso a mo’ di assenso mentre rispondeva:” Ho preso in affitto un cottage, su in montagna, ma non me la sento di arrivare su a quest’ora”.

Direi che è una saggia decisione – acconsentì il portiere di notte. - La strada è ghiacciata oltre che piena di curve e tornanti.

Espletate le formalità le consegnò le chiavi della camera: - 48, terzo piano e…buon riposo.

Annuì mentre si dirigeva verso l’ascensore che si richiuse alle sue spalle dopo aver pigiato sull’apposito bottone.

La camera pulita, arredata in stile "arte povera", era abbastanza calda. Si liberò del cappotto, dei guanti e degli stivali e si buttò sul letto. Il sonno la colse subito e si addormentò così… con i vestiti indosso.

 

La luce del sole che penetrava attraverso gli spiragli della persiana la destarono da quel sonno. Aprì gli occhi per poi repentinamente richiuderli in preda ad un senso di disorientamento. Quello di chi è poco avvezzo a viaggiare e fatica a capire dove si trova.

Poi realizzò.

I ricordi degli ultimi giorni le si pararono davanti, impietosi. Un leggero fremito delle labbra che lei stessa bloccò dirigendosi verso il bagno. Una buona doccia, ecco cosa mi ci vuole. Sorrise all’immagine che le rimandava indietro il piccolo specchio di quel piccolo bagno d’albergo. Poi il ricordo del cottage le fece accelerare le azioni. Scese nella hall dove c’era ancora il portiere del turno di notte che nel vederla le sorrise.

Buona giornata, Signora. La colazione è a buffet ed è già pronta – annuì avviandosi verso una piccola stanza, anch’essa arredata con lo stesso stile della camera da letto. L’odore del caffè e del latte stuzzicò il suo stomaco ricordandole che la sera prima non aveva cenato.

Finita la colazione e saldato il conto uscì all’aperto. La giornata si presentava magnifica. I primi raggi del sole rischiaravano già la piazzetta dove aveva parcheggiato. Salì e mise in moto. La macchina stentava a partire per colpa del freddo della notte. Sterzò dolcemente e puntò decisa il muso dell’auto verso la strada che l’avrebbe portata nella sua oasi silenziosa.

Procedeva a guida sostenuta sia per la strada, il cui ghiaccio iniziava a sciogliersi, sia perché affascinata dallo spettacolo che vedeva.

Meno male che aveva messo i pneumatici da neve. A dire il vero ci aveva pensato Luca, il primogenito. Forse in un momento di “rimorso”.

Le aveva chiesto le chiavi della macchina spiegandole che gli servivano proprio per portarla dal gommista a farle sistemare le ruote visto che andava sulla neve.

I rami degli alberi appesantiti dalla neve sembravano inchinarsi al suo passaggio. Più procedeva lungo la salita più lo spettacolo di quella bianca natura la estasiava. La vide in lontananza quella piccola casetta costruita interamente in legno, in puro stile tirolese. Il cuore sobbalzò in petto. Finalmente il suo sogno di fanciulla era lì davanti a lei. Quante volte, nei grigi e lunghi inverni cittadini aveva sognato di trovarsi in un posto come quello!

Ed ora finalmente aveva smesso di essere sogno ed era divenuto realtà…

Il suo sogno… la sua realtà.

Accelerò quel tanto per accorciare la distanza e si fermò.

 

Non seppe dire, in seguito, se tra lo spegnersi del motore e l’aprirsi dell’uscio ci fosse stato o meno un lasso di tempo o tutto fosse avvenuto contemporaneamente. L’unica cosa certa era che lì, davanti alla porta c’erano loro…


Monday, February 12, 2007

Si sedes non is


La sera è l'ora che prediligo per andarmene in giro per le strade della città semideserta. Mi immergo nell'oscurità delle strade come un cane randagio. Annuso l'aria, sollevo le orecchie, i sensi all'erta a cogliere il minimo fruscio, il più piccolo movimento, che possa interrompere il piacere di queste mie solitarie passeggiate. E così che una non ben precisata sera [che poi mi chiedo: a che serve ricordare il giorno, l'ora di un evento?] , dicevo in una sera qualunque, di un giorno qualunque nel dirigermi verso l'unico pezzo di verde rimasto nel mio quartiere mi fermai interdetta alla vista di una sagoma inver molto strana. Tentai di avvicinarmici senza destar in essa alcun allarme, mantenendo la debita distanza. Mentre mi avvicinavo sempre più in ugual misura si accresceva la mia titubanza. Non eravamo in periodo carnecialesco eppure... eppure la figura che iniziavo ad individuare indossava abiti di una strana foggia. Più che parlar di abiti direi che sia più giusto parlar di tunica... Una tunica azzurra. Ampie maniche scendevano lungo il corpo e portava, legata ad una cintola, una strana borsa.Che avreste fatto voi al mio posto?
Io feci la cosa più ovvia, lasciai che la curiosità avesse il sopravvento sulla mia difidenza e mi avvicinai. Notai subito, nonostante la fioca luce, lo stato dimesso dell'abito ed il volto emaciato e scarno di chi mi stava di fronte. Difficile dire se fosse uomo o donna visto la lunga capigliatura che gli ricadeva morbidamente sulle esili spalle.Solo quando parlò la sua voce ferma e profonda mi consentì di dargli una identità maschile. Quello che lui proferì in realtà mi colpì profondamente.
<< E` da molto che girovago senza una meta e senza fissa dimora - esordì così improvvisamente mentre si accasciava sull'unica panchina di quel parco -  ma l`Acqua non può far a meno di tornare lì dove è nata. Lì dove c`è l`Alpha e l`Omega.Sono tornato in cerca di risposte e qualcosa ho trovato lì dove essa risiede. C`era il Quinto e dalle sue parole altre ne sono emerse...come foglie trascinate dal vento...Pagine di un libro scritto in chissà quale tempo >>...
Si zittì all'improvviso, così come all'improvviso aveva iniziato a parlare, lo sguardo diritto, fisso davanti a sé come in preda ad una visione che solo lui vedeva, indi riprese, e la voce  or si levò più decisa e ferma.
<< Prima che queste parole mi tornassero in mente io stavo seduto... Quanto tempo son rimasto così... in silenzio a tentar di ascoltare i 4 più 1! Ma nulla udivo... Nessun suono usciva dall`Aria che sembrava lontana...assente.
Nulla proveniva dalla Terra, sulla quale poggiavo le mie membra, a parte qualche timido sussulto...
Nulla dall`Acqua che pur mi aveva generato ...
Nulla dal Fuoco che pur sentivo bruciarmi il cuore...
Nulla dall`Etere verso cui andava spesso il mio pensiero...
Ed il Sole... il Sole era così lontano ed io mi sentivo così piccolo al suo cospetto che non osavo nemmeno sollevar lo sguardo su di lui... Poi una voce, un piccolo richiamo... mi sollecita ad alzarmi...e lo vedo e... ricordo...ricordo le parole che in una lontana notte mentre ero intento ai miei studi emersero da una pagina scolorita dal tempo. Stavo tentando di decifrare un vecchio tomo ermetico quando mi imbattei in queste parole >>...
Ancor si fermò mentre corrugava la fronte forse nel tentativo di ricordare. Incosciamente mi lasciai scivolare sulla panchina accanto a lui. Il suo parlare, il suo modo di esprimersi, oltre che stupirmi iniziavano ad affabularmi. Dovevo avere un'aria da ebete ne son sicura, me ne resi conto quando realizzai che stavo con la bocca aperta e non riuscivo a pronunciar parola. Ma lui sembrava non accorgersi nemmeno della mia presenza anche se sono convinta che le nostre anime da qualche parte si fossero già incontrate. Forse così si sarà sentita Viviana quando incontrò Merlino alla Fontana di Barenton.Lo osservavo in silenzio...e lui ben presto riprese a parlare.
<< Colui che cerca la verità non si ferma all'apparenza delle cose e delle idee ma tenta l'accesso nel ventre della Terra. Lì dove più fitta è la notte e non si vedono nemmeno le ombre di chi vi entra. Avvolto da quella oscurità si agita, brancola, si dimena e si dispera nel tentativo di trovar l'uscita. Ma più si agita più il buio lo risucchia. Così come fa il mare agitato con un corpo che tenta di rimanere disperatamente a galla... Hai visto mai un uomo agitarsi in un mare in tempesta?>>.
La domanda, rivolta a me, mi colse di sorpresa, deglutii diverse volte prima di annuire visto che la voce non voleva uscire. Lui sembrò non avvedersene nemmeno.
"Ecco è così che l'anima si trova. Solo quando capisce che non riesce a trovare la soluzione si arresta immobile... ferma i pensieri... e decide di lasciarsi morire. A quel punto, diceva l'autore di quel tomo, avviene qualcosa di incredibile. Le ceneri di quello che era stato un essere tribolato e annientato dal dolore si rianimano... Una luce si sprigiona dalla polvere e rapida svetta verso l'alto tagliando l'Ombra...Ali maestose si aprono e l'uccello rinato torna a volare nel Sole... Si sedes non is... ricordati queste parole"... così dicendo si dissolse davanti ad i miei occhi. Mi ridestai come da un sogno e nell'abbassar lo sguardo sulla panchina dove prima sedeva quello strano individuo vi trovai una piuma coi colori dell'iride...
Ce l'ho qui, adesso, con me. La porto intrecciata nei miei capelli mentre dentro me continuo a ripetermi...
"Si sedes non is"...


Sunday, January 21, 2007

Notte indiana 2006


 

Le fiamme del fuoco, al centro del grande campo indiano, si alzavano alte nel cielo. Lingue di fiamme e scintille e lapilli scoppiettavano conferendo un tono di allegria in quella fredda notte invernale.
Seduti a cerchio il piccolo popolo dai volti rossi (il fuoco riscaldava veramente il sangue), le gambe incrociate, fumavano assorti passandosi di mano in mano il calumet. Grigia Nuvola è talmente perso nei suoi pensieri da dimenticarselo in bocca . Trasale percependo il contatto del suo braccio con quello del fratello che gli siede accanto.
Allora, come tornando da un mondo che ai più non è dato conoscere, punta gli occhi sgranati in faccia al compagno che con la mano tesa attende il segno tangibile della pace. Sorride e gli porge il calumet accompagnandolo con queste parole:
"La mia mente ha percorso le grandi valli dove risuonano le voci dei nostri padri. Voci che pochi odono e molti ignorano. Rincorrevo un capriolo che, impaurito tentava di nascondersi convinto che volessero fargli del male. Mi sono avvicinato a lui e senza nemmeno toccarlo gli ho fatto sentire tutto il mio amore. Pensavo che fosse sufficiente questo ma, ahimé, mi sbagliavo! Mi si rivoltò contro e non ci crederai..lo so... ma mi morse la mano. Ecco..guarda anche tu..."
Così dicendo fa vedere la mano dove delle gocce di sangue scorrono lungo il palmo.
Istintivamente il compagno si ritrae guardando sbigottito l'arto...
"Questa è la prova che quel che dico è vero"...continuò con voce pacata l'anziano Sioux stringendosi ancor meglio il mantello della pelle d'orso intorno al corpo che aveva iniziato a sussultare. Il compagno non riusciva a proferir parola. Non un gridò ruppe il silenzio del campo mentre si alzava e senza nulla proferire si avvicinava al vecchio. Solo quando fu all'altezza del suo orecchio gli bisbigliò:
"Lo so...ero lì con te... guarda" e sorrise scoprendo i denti dove sul biancore dello smalto brillava una goccia rosso sangue...