Sunday, May 25, 2008

Il senso della vita




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Immagine "Deviantart"


Sono sempre stata una bambina un po’ “strana”. Non è che non amassi la compagnia degli altri, che anzi erano sempre a casa mia, ma c’erano dei momenti in cui amavo starmene da sola. Ricordo che avevamo una grandissima finestra, con un ampio davanzale dove mi sedevo per ore a contemplare le nuvole che non erano mai le stesse. A volte soffici, impalpabili, come leggere pennellate di un bianco diafano, se ne stavano immobili sopra quel mio pezzo di cielo. Tal altra invece erano in tutte le sfumature del grigio, pesanti, saturi di acqua che riversavano giù come cascate. Come se il cielo aprisse le sue cataratte e desse sfogo a tutto il suo dolore. Altre volte erano piccoli cirri sui toni soffusi dell’azzurro che si rincorrevano sospinti dal vento. Allora provavo a dar loro una fisionomia prima che venissero stravolti. A volte il cielo era così terso che nemmeno strizzando gli occhi riuscivo a intravedere un batuffolo di bianco. Neppure una spolverata di cipria. E allora mi chiedevo dove erano finite. Dove si erano cacciate lasciando il cielo nudo. Quante volte mi sarebbe piaciuto sedermici sopra e farmi trasportare per capire dove se ne andavano. Per me era  un grande mistero la loro presenza e la loro assenza…


Quando non ero col naso all’insù mi ritrovavo acquattata ad osservare le formiche. Ne puntavo una a caso e la seguivo con le piccole dita, lungo il suo tragitto. Era sempre la stessa identica scena… Giorno per giorno. La loro camminata in fila indiana, una in un senso e l’altra in senso contrario. Immancabilmente quando si incrociavano sembrava che si scambiassero fra loro dei messaggi.


A volte ne vedevo qualcuna trascinarsi un briciolo di cibo grande tre volte lei… le compagne le passavano vicine si soffermavano come al solito e poi proseguivano lasciandola da sola ad arrancare con quel briciolo che immaginavo per lei doveva essere grande come un massiccio montuoso. Mi indispettiva che nessuno di loro si preoccupasse di fermarsi a darle una mano. Ma la cosa che mi meravigliava di più era che a volte, dopo aver individuato la loro tana, io la facevo franare e aspettavo di vedere cosa succedeva. Pensavo: Ecco, adesso dovranno traslocare e costruirsi una casa altrove. Invece no, all’improvviso, passato il primo scompiglio eccole in venti, trenta prodigarsi per riaprire la strada. Allora indispettita mi alzavo ed andavo in cerca degli amici. Mentre in cuor mio meditavo sulla loro stupidità e sull’inutilità della loro vita.


Certe abitudini son dure a morire ed ancor oggi, tutte le mattine, appena alzata dal letto osservo il cielo. Ora so a che servono le nuvole e dal loro aspetto so se la giornata che mi accingo a vivere sarà serena o porterà qualche temporale. Ho trovato il senso della loro esistenza.


Ancor oggi osservo le colonie di formiche arrabbattarsi avanti ed indietro con le loro provviste. Comprendo il senso del loro lavoro incessante e ancor oggi concludo che in fondo sono sempre stupidi insetti che si ammazzano di fatica e solo per… mangiare.


Osservando le nuvole, forse, ho imparato ad osservare il volto degli uomini per cercare di capire dal loro sguardo se sono contenti o arrabbiati, tristi o felici. Quante sfumature passano in pochi istanti negli sguardi delle persone! La maggior parte di noi si comporta come le formiche. Lavorano… lavorano e ad altro non pensano se non a rimpinguire i loro granai. Te ne accorgi subito dai loro sguardi: non hanno capito il senso della vita. Ammesso che si siano mai posti il problema del perché loro esistono e non si siano risposti che lo scopo della loro esistenza è il lavoro.


Altri sono come le nuvole corrono inseguendo un sogno, pieni di aspettative e di speranze. Il più delle volte non si sa dove vanno a finire e se quello che cercavano l’hanno raggiunto…


Lo so,  adesso voi siete curiosi di sapere se io sono nuvola o formica. Quante volte lungo il corso della mia vita mi sono fatta la stessa domanda! Non sono mai riuscita a rispondermi, forse perché sono un po’ di questa e un po’ di quella.


Solo una cosa è certa: sollevando lo sguardo in un campo di papaveri rimango affascinata dalla loro semplice bellezza. Quelle macchie di rosso che si staccano con prepotenza dall’azzurro del cielo reclamano fieri il diritto alla loro esistenza catturando il  mio sguardo. Ed allora comprendo. Comprendo che il senso della vita è nella mia stessa esistenza.  Comprendo che questa  mia vita non è  eterna ma breve, come quella del papavero...





 

1 comment:

intensapassione said...

Ti giri verso il tuo passato, ricordi, sorridi e fai tesoro di ciò che eri e di ciò che sei.

Ip